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mercoledì

Camminando a piedi nudi

Le verità di Proust | Il Foglio


Quanto a me, mi sento vivo e pensante solo in una stanza in cui tutto è creazione e linguaggio di esistenze profondamente diverse dalla mia, di un gusto opposto al mio, in cui non trovo alcun aspetto del mio pensiero cosciente, in cui la mia immaginazione si esalta al sentirsi immersa in seno al non-io; mi sento felice soltanto entrando - nel viale della stazione, al porto o sulla piazza della chiesa - in uno di quegli alberghi di provincia dai lunghi corridoi freddi in cui il vento esterno trionfa degli sforzi dei caloriferi, in cui la carta geografica particolareggiata del circondario è ancora il solo ornamento alle pareti, in cui qualsiasi suono serve soltanto a rivelare il silenzio, cambiandolo di posto, in cui le stanze conservano un odore di chiuso che l'aria esterna lava, ma non cancella, che le narici aspirano cento volte per trasmetterlo all'immaginazione incantata, che lo fa posare come modello per cercare di ricrearlo in sé con tutto il suo bagaglio di pensieri e ricordi; in cui la sera, aprendo la porta della propria stanza, si ha la sensazione di violare tutta l'esistenza che vi è rimasta diffusa, di prenderla audacemente per mano quando, richiusa la porta, ci si inoltra nella stanza, fino al tavolo o fino alla finestra; di sedersi con lei in una sorta di libera promiscuità sul divano fabbricato dal tappezziere del capoluogo in uno stile che credeva parigino; di toccare ovunque la nudità di questa vita soltanto per turbarci della nostra stessa familiarità, posando qua o là le nostre cose, comportandoci da padroni in una stanza traboccante dell'anima altrui, che, nella forma stessa degli alari e nei disegni delle tende, conserva l'impronta del loro sogno, camminando a piedi nudi sul tappeto sconosciuto; allora, quella vita segreta, ci sembra di chiuderla insieme a noi quando andiamo, tremanti, a girare la chiave nella serratura; di spingerla davanti a noi nel letto e infine di dormire con lei tra le grandi lenzuola bianche che salgono fino al viso, mentre, a pochissima distanza, la chiesa fa risuonare per tutta la città le ore insonni dei moribondi e degli innamorati.

Marcel Proust, Sulla lettura, 1919.
pp. 10-11


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