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lunedì

Il trauma e il nulla: sequenze verso l’anti-climax




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di Silvia Tripodi

Tra lo scrivere sul trauma e lo scrivere il trauma, esiste di solito un rapporto di contrappunto: il primo mette l’accento sull’oggettività, il secondo invece sulla soggettività. Rispettivamente oggettivazione e consapevolezza, riorganizzazione degli eventi di fronte a una forma dialogica; processo cognitivo il primo, affettivo il secondo; questa distinzione può aiutarci a capire perché nel trattamento dei passati traumatici la letteratura abbia preceduto la storiografia. Nonostante l’unilateralità, le testimonianze e la memorialistica, utilizzando uno stile ibrido, si trovano più vicine alla realtà[1]. Dominick La Capra, storico e sociologo post-strutturalista, distingue tra lo «scrivere sul trauma» (writing about trauma) e lo «scrivere il trauma» (writing trauma) Scrivere il trauma significa acting out, messa in scena, affioramento del trauma. Parafrasando La Capra, possiamo dire che analogamente tra lo scrivere sul nulla e lo scrivere il nulla, esiste un rapporto di contrappunto, dunque mi ripeto: il primo mette l’accento sull’oggettività, il secondo sulla soggettività. E se la letteratura ha con più efficacia riportato, descritto, eventi traumatici, precedendo la documentazione storica, o meglio,  riconducendola all’uomo e alla sua misura, la cinematografia è paragonabile derridianamente, all’ultima casa di Freud che diviene museo, archivio di immagini, sequenze, accadimenti, memoria e passaggio dall’ambito privato a quello pubblico, dalla intimità alla estraniazione, o viceversa.
Il cinema compie una sorta di congiunzione tra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo, tra il pubblico e il privato. Esso al pari della letteratura è diversamente efficace nel narrare fatti, eventi, che intrecciano il mito o l’archetipo o anche solo nel documentare pezzi di realtà. Ed anche nel reportage, che è la massa d’azione ritenuta più oggettiva, c’è una percentuale sottesa di intenzionalità, espressa a gradi in virtù del montaggio. Ora, altrettanto intenzionalmente utilizzerò tre film per descrivere le modalità di rappresentazione del trauma e quelle di rappresentazione del nulla, o meglio di ciò che al nulla è aderente: porzioni, scarti di nulla, rappresentati e rappresentabili con la macchina-cinema. “Una specie del nulla”, ovvero l’alienazione come condizione di disagio o di salvezza, come rapporto in apparenza dialetticamente inconciliabile tra ciò che dal-di-fuori- investe l’uomo e lo annichilisce, e ciò che è nell’uomo, ossia la sua propria natura, il suo essere, incompiuto e irrisolto:
La parola (Ordet) di Carl Theodor Dreyer, Taxi Driver di Martin Scorsese e Shame di Steve McQueen. Nel primo, il regista danese narra dei Borgen. Viene descritta la crisi che attraversa ogni membro della famiglia: il padre, il patriarca Morten vive nel disagio e nel dubbio il suo rapporto con Dio. Il primogenito Mikkel è fermamente ateo. Il secondo, Johannes studioso della teologia di Kiekegaard vive un delirio mistico che lo porta a credere di essere la reincarnazione del Messia. Infine il terzo, Anders sta per sposare una ragazza, ma i rapporti con il padre della giovane sono difficili a causa delle diverse confessioni religiose.  La figura che diviene poi il fulcro della storia è quella di Inger, moglie di Mikkel, madre di due bambine ed incinta di un terzo figlio, il maschio tanto desiderato da Morten, il nonno patriarca. Ma ecco la disgrazia: il bambino nasce morto, e dopo poche ore di agonia, muore anche la madre. La tragedia che colpisce intimamente ogni membro della famiglia, ha la funzione di appianare i conflitti e le liti e fa rinsavire Johannes. Ma l’evento traumatico non è nel film tanto la morte, quanto l’avvenimento sconvolgente che accade dopo: la resurrezione di Inger, il miracolo chiesto e ottenuto dalla fede di Johannes. La caratteristica specifica del trauma – afferma Perniola – è analoga a quella del miracolo; essi hanno in comune il fatto di sottrarsi a ogni spiegazione razionale. Tanto nel miracolo quanto nel trauma, ci troviamo non soltanto davanti a un fatto di difficile comprensione, ma dinanzi a un messaggio. Essi contengono un messaggio che non può essere detto in parole, che resta perciò essenzialmente enigmatico: nei miracoli e nei traumi c’è chiaramente l’intenzione di trasmettere a noi personalmente qualcosa, ma non sappiamo che cosa[2]. Nell’opera di Dreyer, trauma e miracolo, sono la causa-effetto dell’intero film. Rappresentano due momenti della narrazione filmica che raggiunge il suo apice attraverso il prodigio della resurrezione. Il fatto diviene in qualche misura mito, e come e più del mito, restituisce allo spettatore la quieta sorpresa di un finale salvifico. La corsa de La Parola non s’ingolfa in un epilogo formalmente didascalico ma in una conclusione che trascende il linguaggio-immagine. Il fatto rivelato attraverso la scena è traumatico in quanto lascia sgomenti e dunque senza parole, senza un ulteriore fraseggio se non quello inspiegabile e credibilissimo di una vita che ritorna dalla morte.
Questa specie di fenomenologia filmica, di odissea modulata su un anti-climax, decresce ora in altre due pellicole, Taxi driver e Shame. In entrambe viene narrata una certa qualità del nulla, una soggettività che non trova nell’oggettivo una stabile forma di apparenza. Un nulla che si sostanzia in un codice di immagini ipnoticamente ricorsive, una massa di tensioni crescenti/decrescenti, ritmicamente centrate in un puncutm estraneo, de-centrate dunque e che non hanno collocazione nemmeno nello spettatore, anch’esso scarto occasionale. L’impossibilità di trovare un punto di congiunzione effettivo del nulla inteso come sostanza empatica, emozionalmente elaborata dal medium delle immagini, della parola, della musica, della memoria, fa del cinema la negazione in fieri dell’essere, un essere che carnalmente non coincide solo con l’uomo, ma necessariamente, con la macchina-cinema e con la macchina-uomo. In Taxi driver l’alienazione insonne, la solitudine, la sfiducia paranoica del protagonista troverà la sua ragion d’essere nel paradosso. È lo psicodramma di Travis Bickle, reduce del Vietnam, poi tassista newyorkese che attraverso il suo sguardo di non dormiente vede tutta la decadenza della città, dell’America intera; in questo senso di vuoto, di progressivo estraniamento, Bickle dà sfogo alla sua rabbia omicida, che lo riscatta dalla propria follia. Ma forse ciò avviene solo in apparenza, poiché Travis probabilmente rappresenta il prescelto per incarnare un ideale di giustizia impossibile, ascetico quasi, ideale che sembra derivare dalle manovre di una società che se non lo condanna, tuttavia lo seda, lo quieta, lo narcotizza e narcotizza nuovamente il giudizio dell’uomo sull’uomo, completando un disegno di dipendenza e occultamento opportunamente studiato e opportunisticamente attuato durante le vicende di una campagna elettorale nella quale emergono il malcontento e la delusione di chi ha servito il proprio Paese in un conflitto, quello vietnamita, che tuttora è l’emblema di come le logiche di potere soverchino la morale. Il nulla, inteso come occasione antipolare degli eventi, nella sintassi di Scorsese trova la propria collocazione, non solo nel disagio dirompente del protagonista, ma, ancora una volta come in Ordet, nel finale.
L’anti-climax, viaggio verso un nulla  fagocitante il linguaggio e i codici che lo rappresentano, ha in Shame la finale punta all’acuto che si schianta. Il regista racconta la compulsività, la dipendenza sessuale e l’incapacità di stabilire legami affettivi duraturi attraverso l’uso della nudità, anafora figurata e figurante, apparenza di una superficie che viene svelata a partire da un freddo interno metropolitano. L’ordine catastrofico della dimora del protagonista Brandon, già nella sua asettica staticità degli idoli tecnologici, richiama il progressivo sgretolamento intimo di lui e della sorella, con la quale egli è torbidamente in conflitto. Fragile e tesa al nulla quanto lui, sarà poi lei a sanare in parte un’affettività decadente e malata, attraverso l’innocente debolezza di un atto estremo, che la vede tragicamente e paradossalmente esposta alla vita proprio mentre invece cerca la morte, che per lei è chiaramente una possibilità del nulla. L’indifferenza ed il rifiuto del fratello, sono il paradigma di come il trauma circolare del niente, descriva una spirale nella quale una sessualità deformata, è solo il pretesto per definire  l’ostacolo dell’ingranaggio di un mondo (che è tragicamente ancora  nell’essere) nel quale si accostano psicopatologicamente dolcezza e brutalità, ri-definendo il senso di un’angoscia che non vuole o non può più affrancarsi da se stessa, e che si modula e persiste nei toni del grigio e del ghiaccio. Viene a realizzarsi in qualche modo la poetica “del medio stare”, in cui la libertà dell’individuo è neutramente soggiogata dalla instabilità psichica che investe persino gli oggetti oltre che gli uomini. Ed è in questa monade in cui essere e mondo s’infrangono, che il nulla viene a materializzarsi ora come fatto, ora come evento filmico. Una negazione che non solo è percepita ma che si auto percepisce e che si esamina oltre che essere esaminata, perché come dice Valéry : “Si tratta di passare da zero a zero. – E’ la vita – Dall’incosciente e dall’insensibile all’incoscienza  ed all’insensibilità. Passaggio impossibile a vedersi, poiché esso passa dal vedere al non vedere dopo esser passato dal non vedere al vedere. Il vedere non è l’essere, il vedere implica l’essere”.



[1] Antonis Liakos , Come il passato diventa storia? L’uso metaforico della psicanalisi
[2] Mario Perniola, Osservazioni su miracoli e traumi della comunicazione



venerdì

Le GIF animate dei film di Kubrick*



 











“vuol dire quello che vedete effettivamente” / william burroughs


 

Ora il montaggio è davvero molto più vicino ai fatti della percezione, della percezione urbana almeno, che non la pittura figurativa. Fate una passeggiata per una strada di città e mettete già, su una tela, quello che avete appena visto. Avete visto mezza persona tagliata in due da una macchina, pezzi e bocconi di cartelli stradali e pubblicità, riflessi da vetrine — un montaggio di frammenti. E la stessa cosa accade con le parole. Ricordate che la parola scritta è un’immagine. Il metodo del cut-up di Brion Gysin consiste nel tagliare a pezzi pagine di un testo per rimetterli insieme in combinazioni a montaggio. La pittura figurativa è morta, a meno che forse il nuovo fotorealismo si affermi. Nessuno più dipinge mucche nell’erba. Il montaggio è un vecchio trucco in pittura. Ma se applicate il metodo del montaggio alla scrittura, siete accusati dai critici di promulgare un culto di ininitelligibilità. La scrittura è ancora confinata nella camicia di forza sequenziale e figurativa del romanzo, una forma altrettanto arbitraria che il sonetto e altrettanto remota dai fatti reali della percezione e della coscienza umana quanto quella forma poetica del quindicesimo secolo. La coscienza è un cut-up; la vita è un cut-up. Ogni volta che andate giù per la strada o guardate fuori dalla finestra, il fluire della vostra coscienza è tagliato da fattori a casaccio.


[William Burroughs, The Last Potlatch, tr. it. di G.Saponaro, in
Id., La scrittura creativa, Sugarco, Varese 1981, 1994: pp. 32-33]


[ . . . ]


Brion Gysin ha parlato molto della relazione tra scrittura e pittura. Spiega come la pittura renda perfettamente esplicito un certo numero di caratteristiche della percezione umana. In breve, mostra alla gente qualcosa che conosce ma non sa di conoscere. Quando Cézanne ha esposto le sue prime tele per la prima volta, nessuno ha saputo vedere che erano semplicemente una mela, un’arancia o un pesce visti sotto un certo angolo. Io ho una tela di Brion Gysin su cui si possono vedere dei veicoli disposti su strati diversi, si tratta molto semplicemente di un taglio nel tempo. Se andate per strada, specialmente una strada che conoscete bene, non vedete soltanto le macchine che ci stanno, ma vedete anche quelle che c’erano ieri, che c’erano dieci anni fa, e questo per associazione mnemonica. Ma se mostrate questo fenomeno su una tela, la gente spesso dice: «Cosa vuol dire?». Vuol dire quello che vedete effettivamente: i dati della percezione umana. Questi dati sono resi espliciti nella pittura come nella scrittura, come in altre forme, per esempio nel cinema. 

Spesso la gente è disorientata nello scoprire ciò che sa già senza sapere. 


[William Burroughs, colloquio con
Gérard-Georges Lemaire, in Ibid., p. 111]

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Niente pose o ritocchi






Il volto e l'anima: i ritratti di Gisèle Freund




"Il  disappunto che proviamo davanti alle nostre fotografie nasce dall'assurda convinzione di conoscerci" (G.Freund)



Da sempre sono attratta dalle fotografie che ritraggono gli scrittori, come se conoscerne i tratti del volto mi facesse capire qualcosa di più sugli autori e sui libri che ho amato. 
Per questo sono rimasta affascinata dalle foto di Gisèle Freund, scattate  tra il 1933 e il 1939 e pubblicate nel catalogo di una mostra, organizzata, l'anno scorso, a Parigi dalla Fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent: "L'oeil frontière". 
Ne ho scelte solo alcune da pubblicare, rintracciandole su internet, e la scelta non è stata facile. Nessuna è banale e tutte sono capaci di evocare le sfaccettature complesse di una personalità.




Ha appena ventidue anni, Gisèle Freund, ed è ancora una studentessa quando si rifugia a Parigi, nel 1933, scappando dalla Germania nazista:  la sua origine ebraica e il rullino di foto che ha scattato di nascosto a testimonianza della violenza  della polizia contro gli studenti, l'hanno costretta alla fuga.
Non ha passaporto, non  sa il francese, ma sa fotografare, fin da quando il padre, per il suo quindicesimo compleanno, le ha regalato una Leica. 
Alla prestigiosa facoltà di Sociologia di Francoforte, dove si è iscritta,  ha scelto, non a caso, una tesi sulla "Fotografia francese del XIX secolo".

Arrivata a Parigi, ha cominciato a guadagnare qualche soldo,  adattando a  camera oscura una stanza d'albergo e dedicandosi a un genere che sente particolarmente congeniale, quello dei ritratti. I suoi clienti sono i commercianti o i negozianti del quartiere.

La sua passione, insieme alla fotografia, è, da sempre, la letteratura. 
Il caso (o il destino, che poi è la stessa cosa) la porta, in una fredda giornata di marzo, sulla riva sinistra della Senna, in rue dell'Odéon. 
- come ricorda lei stessa - tra un negozio di antiquariato con un gatto acciambellato su una sedia Luigi XIV e una latteria in cui sono ammucchiate  scatole di formaggi, scopre, al numero 7, la porta di una libreria, tutta dipinta di grigio, sovrastata da una grande insegna "Maison des amis du livre. Societé de lecture". Il richiamo, per lei, è irresistibile. 

Entrare là sarà la sua fortuna. 



La proprietaria, Adrienne Monnier, è un gran personaggio. 
Lettrice raffinatissima e cuoca eccellente, pubblica, a sue spese, una rivista, per cui scrivono i maggiori esponenti dell'avanguardia letteraria francese. 

Le due diventano subito amiche. 

Sarà Adrienne a presentarle Sylvia Beach, che, all'epoca, gestisce, proprio sull'altro lato della strada,  niente di meno che la  "Shakespeare & Co.", la mitica libreria, frequentata da tutti gli scrittori anglofoni (e no) di Parigi, di cui hanno parlato le mie due amiche blogger-bibliofile (qui e qui).

"Non esiste un volto più affascinante di quello di una persona capace di creare”: aveva scritto Gisèle. 
Adrienne Monnier e Sylvia Beach le forniranno la chiave per entrare nel mondo chiuso degli scrittori. Poi sarà il "passa-parola"ad assicurarle i contatti.


Il primo a farsi ritrarre è André Malraux che, giusto l'anno prima, ha vinto il premio Goncourt con il suo libro "La condizione umana". 
Fotografato sulla terrazza del suo piccolo appartamento, sfoggia un'aria da romantico rivoluzionario, con una sigaretta accesa tra le labbra, i cappelli lunghi spettinati dal vento e il volto imbronciato.

Niente studio, niente pose o ritocchi: così a Gisèle piace ritrarre i "suoi" scrittori. 
Gli unici consigli che dà sono quelli di indossare qualcosa di chiaro e di radersi bene, prima di iniziare a scattare.

Per ritrarre  James Joyce, comincia a usare la pellicola a  colori, con una tecnica, messa a punto da Kodak e Agfa appena due anni prima. 
I colori, che ora ci sembra diano alle foto un effetto acquerello, erano poco saturi e evanescenti già nelle prime stampe. 
Comunque a Gisèle piacciono e le sembra che, rispetto al bianco e nero, diano l’aria di una maggiore verità.

Joyce, tra gli appassionati e i letterati era, allora, già un mito. 
Stanco e malato si trovava a Parigi per presentare "Finnegans Wake". 
Malgrado non stesse bene concede a Gisèle ben tre sedute.  Lei scatta moltissime foto, in cui riesce a cogliere tutta la fatica e la malinconia dello scrittore.

"Un fotografo - dice - deve leggere un viso come si legge la pagina di un libro e deve essere capace di decifrare anche quello che è nascosto tra le righe"
 

Ed ecco l’immagine che ci dà di Jean Paul Sartre.

È in giacca e cravatta, pipa in mano e libreria carica di libri sullo sfondo. Lo sguardo, dietro gli occhiali tondi è assorto e riflessivo. Tutto è così ben accomodato da dare l'impressione di qualcuno che posi da intellettuale.


Colette, invece, è scapigliata, gli occhi e le labbra ben truccati, con una camicia rossa e l’aria da attrice tragica, mentre, assorta, sta scrivendo al suo tavolo di lavoro.


Gisèle Freund sceglie di  fotografare solo gli scrittori che ama. 
Quando va da loro - racconta lei stessa - non parla mai di come ritrarli ma dei lori libri, fino a sorprenderli nel momento in cui le pare rivelino, più liberamente, qualcosa di sé. 



A volte si concentra solo sul volto, a volte, invece, preferisce uno sfondo, fatto, comunque, di pochissimi elementi. 
Qui la grande mano rossa che spicca, quasi fosse un'insegna, fa risaltare il pallore di uno stralunato Jean Cocteau.


"Rivelare l'uomo all'uomo, creare un linguaggio universale, accessibile a tutti rimane per me il compito fondamentale della fotografia" - diceva Gisèle.



Il medaglione in gesso col volto di Giacomo Leopardi è messo quasi a confronto con quello liscio di un elegantissimo André Gide, che sfoggia un raffinato foulard di seta al collo e un'espressione grave e pensierosa.





Virginia Wolf, incontrata in Inghilterra, le appare in profilo sullo sfondo di un affresco della sorella Vanessa "fragile e luminosa come l'incanto stesso della sua prosa". 
Ma ne sa rivelare, nello sguardo vuoto e nel gesto nervoso, con cui tiene aperta la pagina del libro che sta sfogliando, tutta la segreta disperazione.





Il catalogo della mostra si chiude con questo ritratto.
Non così la vita di Gisèle Freund. Nel 1940 le truppe naziste arrivano a Parigi, Gisèle deve fuggire un'altra volta. La sua meta sarà l'Argentina e, poi, il Messico e gli Stati Uniti. Lavorerà per la "Magnum" con Robert Capa e per "Life", fino a diventare una leggenda della fotografia.  I suoi ritratti di scrittori e di artisti faranno scuola.

mercoledì

Nemesi

  1. Fotografia di Silena Lambertini
  2. Incipit da Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo (1760-1767) di Laurence Sterne
  3. Picture by Melinda Matyas

1.



2.
 
Avrei voluto che mio padre e mia madre, o in verità entrambi, poiché entrambi erano tenuti a farlo, pensassero a quello che facevano quando mi hanno concepito; se avessero debitamente considerato quanto alta fosse la posta in gioco;—che non solo ne sarebbe derivata la procreazione di un Essere razionale, ma che molto probabilmente la felice conformazione e costituzione fisica del suo corpo, forse il suo ingegno e la struttura stessa della sua mente;—e per quanto potevano saperne, perfino la fortuna di tutta la sua famiglia avrebbero potuto essere condizionati dagli umori e dalle inclinazioni prevalenti in quel momento:——Se avessero debitamente soppesato e riflettuto a tutto ciò, e agito di conseguenza,——sono profondamente convinto che il posto da me occupato nel mondo sarebbe stato molto diverso, da quello in cui è probabile che il lettore mi veda.—Credetemi, miei buoni amici, non si tratta di un fatto trascurabile come molti di voi potrebbero ritenerlo;—tutti avete, oso dire, sentito parlare degli spiriti vitali, di come vengano trasmessi dal padre al figlio e così via,—e di parecchio altro al riguardo:—ebbene, potete credermi quando vi dico, che nove decimi della saggezza o della stoltezza di un uomo, dei suoi successi o fallimenti in questo mondo dipendono dai loro moti e attività, e dai diversi indirizzi e direzioni verso cui li avviate; così che una volta messi in movimento, bene o male che sia, non si tratta di una faccenda da quattro soldi,--partono schiamazzando per la tangente; e a forza di ripetere gli stessi passi, finiscono col tracciare una vera e propria strada, dritta e comoda come il viale di un giardino, dalla quale, una volta che vi si siano avvezzi, lo stesso Diavolo non riuscirebbe ad allontanarli. Scusate, mio caro, disse mia madre, non avete dimenticato di ricaricare l'orologio?——Buon D—! esclamò mio padre, lasciandosi sfuggire un'imprecazione, ma avendo l'accortezza al tempo stesso di non alzare troppo la voce——. Quando mai una donna, dalla creazione del mondo ai giorni nostri, ha interrotto qualcuno con una domanda così sciocca? E che cosa stava dicendo vostro padre?——Niente, naturalmente.

 3.
 
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKWyHA5l_9YbYc7P3OZY9kz9UcJoe_oF_LUh7VFaRj3xAriHVA3tcfxuZ8MiAmOu_BEwgEAWWDL-3rQG3YeQsS02OBnTugWn7XQ5o55rpNDHDDUJwwDpSP4rkmuTxO_INq-u0i-wNTBK8/s1600/DSC_0475a-500mpx.jpg

lunedì

La carità perduta: C'est cette époque-ci qui a sombré!



Arthur Rimbaud - Wikipedia

GENIO


Egli è l’affetto e il presente perché ha aperto la casa all’inverno schiumoso e al rumore dell’estate, lui che ha purificato i cibi e le bevande, lui che è il fascino dei luoghi fuggenti e la sovrumana delizia delle soste. Egli è l’affetto e l’avvenire, la forza e l’amore che noi, in piedi nella rabbia e nella noia, vediamo passare nel cielo di tempesta e nelle bandiere di estasi.
Egli è l’amore, misura perfetta e riscoperta, ragione meravigliosa e imprevista, e l’eternità: macchina amata dalle qualità fatali. In noi tutti c’è stato lo spavento della sua concessione e della nostra: o godimento della nostra salute, slancio delle nostre facoltà, affetto egoista e passione per lui, lui che ci ama per la sua vita infinita…
E noi ce lo ricordiamo ed egli viaggia… E se l’adorazione se ne va, risuona, la sua promessa risuona: “Via queste superstizioni, questi antichi corpi, queste coppie e queste età. E’ la nostra epoca che è naufragata!”
Egli non se ne andrà, non ridiscenderà da un cielo, non compirà la redenzione delle collere delle donne e delle allegrie degli uomini e di tutto questo peccato: è cosa fatta, poiché egli è, ed è amato.
Oh, il suo respiro, le sue teste, le sue corse; la terribile celerità della perfezione delle forme e dell’azione.
Oh, fecondità dello spirito e immensità dell’universo!
Il suo corpo! La liberazione sognata, lo spezzarsi della grazia pervasa di nuova violenza!
La sua vista, la sua vista! tutte le antiche genuflessioni e le pene riscattate sui suoi passi.
Il suo giorno! l’abolizione di tutte le sofferenze sonore e mobili nella musica più intensa.
Il suo passo! le migrazioni più enormi delle invasioni antiche.
O lui e noi! l’orgoglio più benevolo della carità perduta.
Oh, mondo! e il canto chiaro delle nuove sventure!
Egli ci ha conosciuti tutti e ci ha amati tutti. Sappiamo, questa notte d’inverno, da promontorio a promontorio, dal polo tumultuoso al castello, dalla folla alla spiaggia, di sguardo in sguardo, con le forze e i sentimenti spossati, chiamarlo e vederlo, e di nuovo mandarlo via, e sotto le maree e da sopra i deserti di neve, seguire i suoi sguardi, il suo respiro, il suo corpo, la sua luce.
 
 

sabato

Proletari.com: i nuovi lavoratori della Rete



Vincitore-ICONA-2011_Teun-Hocks_Untitled-n233_2010_Paci-contemporary-Brescia 
 Immagine: Untitled n. 233 (Cloud), 2010, di Teun Hocks.


 di  

Pubblicato su minima&moralia
giovedì, 15 novembre 2012



Roberto, 31 anni, cassintegrato residente a Palermo, nelle ultime tre settimane ha guadagnato 1700 euro lavorando per una società australiana che vende servizi alle imprese. Dunque uno stipendio di gran lunga superiore a quello che prenderebbe se, ironia delle ironie, tornasse al lavoro nella sua azienda in crisi. Tutto è avvenuto tramite Elance.com, un sito che mette in contatto chi cerca e offre lavoro senza frontiere. Basta avere un pc, e le competenze necessarie. Roberto deve progettare macchinari per la lavorazione della sabbia, le sue abilità tecniche hanno convinto l’azienda di Perth che lui è la persona giusta nonostante viva a migliaia di chilometri di distanza. La paga è oraria, e il controllo delle ore effettivamente lavorate avviene attraverso un timer installato nel computer di Roberto che non permette furberie. Se poi arriva la necessità di dialogare con il datore di lavoro, basta aprire Mikogo ovvero il programma di videoconferenza modellato su Skype ma studiato per il mondo del business.
«Quando lavoravo a tempo pieno in fabbrica dovevo alzarmi alle 6 del mattino, fare quasi 40 chilometri, pranzare fuori casa con un panino per risparmiare e spendere 10 euro ogni due giorni. Adesso mi sveglio alle 8, mi metto alla scrivania in salotto, con calma, il cane ai miei piedi, mangio con la mia famiglia e sono molto più riposato», racconta Roberto con toni paradisiaci. È chiaro che la prossima questione sarà quella di decidere se vale la pena cercare un lavoro concreto vicino a casa, con orari fissi e paghe ridotte, oppure continuare a pescare progetti su siti come Elance. «Il mio datore di lavoro è così contento che vorrebbe mi trasferissi in Australia. Naturalmente non ci andrò. Mi paga puntualmente ogni lunedì, dopo aver controllato la tranche di lavoro che ho spedito».
Roberto è arrivato su Elance.com dopo un periodo di apprendistato su www.freelancer.com: qui aveva svolto delle mansioni tecniche per un russo, poi per un inglese. Aveva anche messo piede su Guru, un altro sito che funge da offro/cercolavoro. Il meccanismo è il medesimo per tutti: il lavoro offerto non è mai a tempo indeterminato, si tratta invece di progetti specifici che vengono messi all’asta al miglior offerente. Gli aspiranti lavoratori valutano quanto tempo richiede quel lavoro e fanno un’offerta. Dopo qualche giorno chi propone il lavoro raccoglie il materiale ricevuto, curriculum inclusi, valuta il miglior rapporto tra qualità, prezzo e tempo di esecuzione, e decide. Il pagamento avviene soltanto a progetto ultimato.
Su freelancer.com, ad esempio, si richiede a fumettisti esperti di trasformare un racconto di fantascienza in tavole illustrate (prezzo massimo: 250 dollari); oppure di scrivere brevi racconti a sfondo erotico. O, ancora, di sviluppare un progetto in tedesco per un laboratorio di geologia.
Tuttavia sono rare le richieste di lavori cosiddetti tradizionali. La maggioranza delle offerte di lavoro riguardano il web, il software, il marketing virale, la ricerca di migliaia di contatti Facebook per una specifica pagina commerciale, commenti a pagamento da inserire nei blog oppure nei video di Youtube che devono salire nella classifica – il cosiddetto rating -, la costruzione di una mailing list, liberare dallo spam un determinato sito, ragazze disposte a webcam per siti pornografici (8 dollari l’ora), la creazione di un media-kit per coloro che gestiranno un blog dedicato alla morte e agli anziani in procinto di lasciare questo mondo, nutrizionisti che possano collaborare con un sito di diete online, un giocatore di calcio disposto a condividere consigli e gossip con i fan, amanti dell’heavy-metal che diano una mano a compilare una lista delle migliori canzoni natalizie metallare (sic), specialisti in copyright capaci di scrivere contenuti specializzati per le aziende, conoscitori del Seo che possano scrivere pezzi da inserire sul web con parole-chiave che aiutino a far salire il ranking del sito, architetti pronti a fornire rendering di case, uffici, supermercati e migliaia di aste simili.
Nel marasma dei web-lavori, il “forum poster” è forse il più vicino al proletario di antica memoria. Come in una catena di montaggio virtuale, deve postare nei forum dei commenti originali, grammaticalmente corretti e naturalmente entusiasti su vari prodotti oppure sui video di questo o quel cantante. Il “forum poster” è controllato passo dopo passo e non può sgarrare. I vari “likes” che riesce a totalizzare, le migliaia di “pollici alzati” (thumbs up) che deve sollevare per guadagnare il compenso sono continuamente monitorati e non devono essere né troppi né pochi. Una faticaccia.
Insomma, le competenze del lavoratore web non sono paragonabili a quelle per le quali siamo cresciuti. Nessuna scuola, infatti, può insegnarle. I topi di biblioteca che volessero rimediare qualche dollaro compilando documenti di stampo accademico troveranno negli annunci online una selva di sigle pressoché incomprensibili, e mettersi al passo con il futuro non è faccenda così semplice.
Freelancer, Elance, Odesk, Guru e così via offrono comunque una valanga di “posti di lavoro” precari che alimentano e si alimentano nella Rete ma che vengono offerti a livello planetario e alla concorrenza altrettanto planetaria. Così accade che molti di coloro che si aggiudicano il progetto siano persone del Sudest asiastico, indiani, pakistani, mediorientali che si accontentano di un compenso minore rispetto agli americani e agli europei. Ed è naturalmente una manna per coloro che amano l’outsourcing, ovvero l’affidamento del lavoro a qualcuno che abita in un Paese dove il costo della vita è inferiore. Diventa dunque realtà una vignetta che il New Yorker aveva pubblicato qualche anno addietro: un bimbo chiedeva al padre se poteva “delocalizzare” i suoi compiti ad un bambino indiano. Con Elance and Co. Ci siamo vicini, e il mercato globale non perdona.
Stranamente, la categoria XXX è quella meno battuta. Poche le offerte, pochi i lavoranti del sesso disponibili. Tra le offerte sbuca la ricerca di una “sexy virtual assistant”, ovvero una donna che per un numero di ore stabilite sia reperibile per un manager – sempre lo stesso – che evidentemente tra una riunione e l’altra vuole aprire la webcam e dialogare eroticamente con la sua sexy segretaria personalizzata. Alle aspiranti l’agenzia specifica che per questioni di budget verranno escluse le americane «a meno che non vogliate mettervi in concorrenza con le indiane o le filippine».
In Italia pare che questo tipo di telelavoro sia ancora sconosciuto. Probabilmente per il monopolio dell’inglese, o semplicemente perché la vocazione letteraria ci esclude dai mestieri più innovativi. È soltanto un’ipotesi. Ed è anche, forse, questione di competenze. Ecco perché risulta più abbordabile, anche se sicuramente più ludico, un sito come Fiverr dove ogni prestazione lavorativa costa inderogabilmente 5 dollari. Qui la fantasia è debordante.
C’è chi si offre per scrivere sulla propria guancia la marca di un’azienda e fare pubblicità andando in giro per l’urbe; chi, sempre per un biglietto da 5 dollari ovvero 3 euro e 70 centesimi, è disponibile a cantare “You’re my sunshine” e spedire il video alla fidanzata, oppure fornire una audioguida online su Jacksonville, Florida; per 5 dollari si possono avere 30 minuti di conversazione in spagnolo via Skype; un banner di Halloween da inserire nel proprio sito; un consiglio per genitori di adolescenti incinte oppure un “avvocato del diavolo” che esamina una questione spinosa e cerca di valutare i pro e i contro – quest’ultimo guadagna un sacco di soldi, ed è apprezzatissimo.
L’autrice di questo articolo ha scelto di farsi leggere i fondi del caffé da una ragazza di Ankara, che lavora all’Ikea e nel tempo libero spera di fare qualche soldo su Fiverr. Dopo aver pagato con carta di credito sono arrivate le istruzioni: fare un caffé, berlo, mettere la tazzina rovesciata sull’acquaio, attendere che si asciughi e poi fotografarla da varie angolazioni. Quindi spedire le immagini. Dopo 48 ore ecco il responso: «Sei molto fortunata. Specialmente in campo economico. Avrai soldi, non subito. Un po’ alla volta.




venerdì

LEZIONI AMERICANE


Non è un paese per vecchi visto da Giorgio Cracco

  1. Grazia: Jerome David Salinger, The Catcher in the Rye, 1951.
  2. Ritmo:  Jack Kerouac, The Subterraneans, 1958.
  3. Profondità: Charles Bukowski, Notes of A Dirty Old Man, 1969.   

Incipit:

  • Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto.

  • Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora; in altre parole questa è la storia di uno sfiduciato che non è piú padrone di sé e insieme la storia di un egomaniaco, per costituzione e non per facezia — questo tanto per cominciare dal principio con ordine ed enucleare la verità, perché è proprio questo che voglio fare. — Cominciò una calda notte d'estate, sì, con lei seduta su un parafango quando Julien Alexander che sarebbe… Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei di San Francisco.

  • un figlio di puttana si era rifiutato di scucire il grano, tutti che dicevano d'essere al verde, il pokerino era finito, io ero lì seduto col mio fratellino Elf, Elf era un ragazzo svampito, svaccato in toto, era stato a letto per anni a spremersi le palle gommose, a fare esercizi folli, e quando poi era sceso dal letto era più largo che lungo, un bruto sorridente tutto muscoli che voleva fare lo scrittore ma suonava un po' troppo come Thomas Wolfe e, a parte Dreiser, T. Wolfe è proprio il peggior scrittore che sia mai nato in America, e io colpii Elf dietro l'orecchio e la bottiglia cadde giù dal tavolo.


Alea iacta est: il Dadaismo e la sua negazione __________


 



La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (traduzione di La Mariée mise à nu par ses célibataires, même), chiamato anche Grande Vetro: 1915-1923 . . .