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lunedì

# Primitivo come una guglia gotica #







Lazzaro un giorno si alzò dalla croce pensando la banalità della  gestazione, un dubbio -
  
Paragonarsi è pericoloso, oltremodo rischioso paragonarsi:
  
E la solitudine fa bene alla salute, risparmia nel vizio, incanta ogni aspettativa . . .

- Perché riempirsi di vuoto, disse!!

E le bestemmie continuarono a prolungare un inutile regalo -
  
Un dono, forse, invalidando il compromesso della Croce . . .

[ Per l'ingratitudine e l'età che manca ]

Mentre l'anonimato resta insoddisfatto nell'abiura . . .


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* La Dolce Vita di Federico Fellini, 1960. Dialogo tra Marcello e Steiner prima del suicidio . . .



Sunday Morning






domenica

[ Una porta sul buio ]


The 100 best nonfiction books: No 11 – North by Seamus Heaney (1975) |  Books | The Guardian

Scavando




Tra il mio indice e il pollice sta la penna,
salda come una rivoltella.

Sotto la finestra, un rumore graffiante all’affondare della vanga nel terreno ghiaioso:
è mio padre che scava. Guardo da basso,

Finché la sua schiena china tra le
aiuole, si risolleva venti anni indietro,
piegandosi a ritmo attraverso i solchi di patate che interrava.

Il rozzo scarpone accoccolato sulla staffa,
il manico contro l’interno del ginocchio sollevato con fermezza,
sradicava le alte cime, infossando a fondo l’orlo lucente
per spargere le patate nuove che noi raccoglievamo
amandone la fresca durezza tra le mani.

Sapeva bene come usare una vanga, per Dio.
Proprio come il suo vecchio.

Mio nonno tagliava più torba in una giornata
di chiunque altro uomo alla torbiera di Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
turata alla men peggio con un pezzo di carta.
Si raddrizzò per berne e subito riprese
a tagliare e intaccare nettamente,
spalando pesanti zolle, gettandosele alle spalle, andando sempre più a fondo
in cerca di buona torba. Scavando.

Il freddo aroma d’amido nel terriccio, il risucchio
e lo schiaffo della torba umida, i tagli netti della lama
nelle radici vive, mi risvegliano la memoria.
Ma non ho una vanga per imitare uomini come loro.

Tra il mio indice e pollice
sta salda la penna.
Scaverò con quella.





[Traduzione Erminia Passannanti in GLI UOMINI SONO UNA BEFFA DEGLI ANGELI - POESIA BRITANNICA CONTEMPORANEA a cura e per la traduzione di Erminia Passannanti: Introduzione di Blake Morrison, Ripostes, Salerno-Roma, 1993.]




Digging


 

Between my finger and my thumb
The squat pen rests; as snug as a gun.

Under my window a clean rasping sound
When the spade sinks into gravelly ground:
My father, digging. I look down

Till his straining rump among the flowerbeds
Bends low, comes up twenty years away
Stooping in rhythm through potato drills
Where he was digging.

The coarse boot nestled on the lug, the shaft
Against the inside knee was levered firmly.
He rooted out tall tops, buried the bright edge deep
To scatter new potatoes that we picked
Loving their cool hardness in our hands.

By God, the old man could handle a spade,
Just like his old man.

My grandfather could cut more turf in a day
Than any other man on Toner's bog.
Once I carried him milk in a bottle
Corked sloppily with paper. He straightened up
To drink it, then fell to right away
Nicking and slicing neatly, heaving sods
Over his shoulder, digging down and down
For the good turf. Digging.

The cold smell of potato mold, the squelch and slap
Of soggy peat, the curt cuts of an edge
Through living roots awaken in my head.
But I've no spade to follow men like them.

Between my finger and my thumb
The squat pen rests.
I'll dig with it.



 
di







sabato

Celan e l’esperienza dell’impossibile

da La dimora del tempo sospeso


Paul Celan, 1920 - 1970.


 



 
È noto che Paul Celan ha avuto per lungo tempo la fama di essere un poeta difficile, quasi impenetrabile. La sua replica a coloro che gli muovevano tale accusa non era la più adatta a conciliarseli: «Al giorno d’oggi è di voga rinfacciare alla Poesia la sua “oscurità”. […] Mi consentano di riportare un detto di Pascal, un detto che lessi in Lev Šestov qualche tempo fa: Ne nous reprochez pas le manque de clarté puisque nous en faisons profession! – Questa, credo, è la – seppur non congenita – oscurità che è propria della Poesia, in vista di un incontro che muove da una distanza o estraneità che essa stessa, forse, ha inteso progettare»(1).
     Ciò che rende difficile l’interpretazione dei suoi testi consiste nel lavoro svolto sul piano del pensiero e su quello della lingua tedesca, che si trova dunque ad essere sensibilmente modificata. Le tecniche stilistiche di Celan prevedono fra l’altro un costante e fulmineo passaggio da un’immagine all’altra, dall’astratto al concreto e viceversa, la coniazione di neologismi, un uso anomalo degli «a capo», che a volte spezzano in due la parola, e dei titoli, spesso incorporati nel primo verso del testo ed evidenziati graficamente con l’impiego delle maiuscole. A ciò si aggiunge il recupero di vocaboli arcaici o di tecnicismi: come ricorda Moshe Kahn, Celan «leggeva con predilezione dizionari antichi, come per esempio quello dei fratelli Grimm, oppure dizionari tecnici e botanici, dai quali estraeva un ricco materiale di parole. Così incontriamo parole come per esempio Eulenflucht (l’ora del levar delle civette) o chymisch (chymico) che nella lingua tedesca erano dimenticate da più di duecento anni, oppure termini tecnici come Meermühle (mulino di mare), Strahlenwind (vento irradiante) o Laufkatze (carrello in corsa). Naturalmente, tutte queste parole si trovano nelle poesie di Celan prima per quello che indicano; ma per il modo in cui vengono usate, oltrepassano al tempo stesso il loro significato originale»(2).

| Della superficie delle cose |


Wallace Stevens - Wikipedia

da Harmonium di Wallace Stevens
Traduzione di Simone Burratti



I
Nella mia stanza, il mondo è oltre la mia comprensione.
Ma quando passeggio vedo che esso consiste di due o tre colline e una nuvola.

II
Dal balcone ispeziono l’aria gialla,
Leggendo dove ho scritto:
“La primavera è come una donzella che si spoglia.”

III
L’albero d’oro è blu.
Il cantore si è tirato il mantello sopra il capo.
La luna è fra le pieghe del mantello.




 Letteratura e realtà







La Revancha del Tango






  1. Queremos Paz
  2. Época
  3. Chunga's Revenge
  4. Tríptico
  5. Santa Maria (del Buen Ayre)
  6. Una Música Brutal
  7. El Capitalismo Foráneo
  8. Last Tango in Paris
  9. La del Ruso
  10. Vuelvo al Sur 






martedì

A kör bezárul, il cerchio si chiude -











C'è come un dolore nella stanza




Amelia Rosselli


da "Documento" (1966-1973)

 
C'è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.

C'è come un rosso nell'albero, ma è
l'arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch'essi pesano.

Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d'un destino
di uomini separati per obliquo rumore. 










giovedì

self







Ian Ahmedov - Longa Vita Brevis





Alla terra materna #





"Scinninu a la pirrera". Una poesia di Alessio Di Giovanni (Cianciana 1872 - Palermo 1946)




Scinninu a la pirrera e ognunu mmanu
porta la so lumera pi la via,
ca no pi iddi, pi l’erbi di lu chianu
luci lu suli biunnu, a la campìa...
-
Scinninu muti, e quannu amman’ammanu
scumpariscinu ‘nfunnu a la scurìa,
e si sentinu persi, chianu chianu
preganu a San Giseppi e a Maria…
-
Ma ddoppu, accuminciannu a travagghiari,
gridanu, gastimiannu a la canina,
ca lu stessu Signuri l’abbannuna…
-
Oh! Putissiru allura abbannunari
dda vita ‘nfami, dda vita assassina,
comu l’armali, ‘nfunnu a li vadduna!
-


Scendono alla miniera e ognuno in mano/ porta il suo lucignolo per la via,/ ché non per loro, per le erbe della pianura/ risplende il biondo sole alla campagna…/ Scendono muti e quando, a mano a mano,/ scompaiono nel fondo dell’oscurità,/ e si sentono perduti, piano piano/ pregano San Giuseppe e Maria…/ Ma dopo, cominciando a lavorare,/ gridano, bestemmiando come cani,/ che lo stesso Signore li abbandona…/ oh! Potessero allora abbandonare/ quella vita infame, quella vita assassina,/ come gli animali, in fondo agli abissi!
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"Di questa galera che è la zolfara, il poeta che più realmente e intimamente ne abbia vissuto il travaglio, la tragedia, è senza dubbio Alessio Di Giovanni" (Leonardo Sciascia, La zolfara in La corda pazza, Einaudi, 1970)