di Albert Camus, da Repubblica, 11 novembre 2012
Se
riteniamo che la civiltà occidentale consista soprattutto
nell’umanizzazione della natura, cioè nelle tecniche e nella scienza,
l’Europa non solo ha trionfato, ma le forze che oggi la minacciano hanno
mutuato dall’Europa occidentale le sue tecniche o le sue ambizioni
tecniche e, in ogni caso, il suo metodo scientifico o di ragionamento.
Vista così, in effetti, la civiltà europea non è minacciata, se non da
un suicidio generale e da se stessa, in qualche modo.
Se,
viceversa, riteniamo che la nostra civiltà si sia sviluppata sul
concetto di persona umana, questo punto di vista, che può essere
altrettanto valido come lei ha ragione di sottolineare, porta a una
risposta del tutto diversa. Vale a dire che probabilmente, dico
probabilmente, è difficile trovare un’epoca in cui la quantità di
persone umiliate sia così grande. Tuttavia non direi che quest’epoca
disprezzi l’essere umano in modo particolare. Infatti contemporaneamente
a queste forze, che definirei del male per semplificare le cose, non
c’è dubbio che nel corso dei secoli si è progressivamente diffusa una
reazione della coscienza collettiva e in particolare della coscienza dei
diritti individuali.
Due guerre mondiali l’hanno soltanto un po’
logorata e credo sia ragionevole rispondere che la nostra civiltà viene
minacciata nella misura esatta in cui oggi un po’ ovunque l’essere
umano, viene umiliato.
A quest’utile distinzione posso aggiungere
che potremmo chiederci, e parlo sempre al condizionale, se proprio il
singolare successo della civiltà occidentale nel suo aspetto scientifico
non sia in parte responsabile del singolare fallimento morale di questa
civiltà. Per dirla diversamente se, in un certo senso, la fiducia
assoluta, cieca, nel potere della ragione razionalista, diciamo nella
ragione cartesiana per semplificare le cose, perché è lei al centro del
sapere contemporaneo, non sia responsabile in una certa misura del
restringimento della sensibilità umana che ha potuto, in un processo
evidentemente troppo lungo da spiegare, portare poco alla volta a questo
degrado dell’universo personale.
L’universo tecnico in se stesso
non è una brutta cosa, e sono assolutamente contrario a tutte quelle
teorie che vorrebbero un ritorno alla carrucola o all’aratro trainato da
buoi. Ma la ragione tecnica, posta al centro dell’universo, considerata
come l’agente meccanico più importante di una civiltà, finisce per
provocare una specie di perversione, al contempo nell’intelligenza e nei
costumi, che rischia di portare al fallimento di cui abbiamo parlato.
Sarebbe interessante cercare di capire in che modo.
(...) Quali
sono, innanzitutto, gli elementi che costituiscono la civiltà europea?
Rispondo di non saperlo. Ognuno di noi però ha una prospettiva
privilegiata, sentimentale in qualche modo, che d’altronde può essere
ragionata e fondata su osservazioni, la quale ci fa preferire uno di
questi elementi agli altri. Secondo me, e per una volta potrò rispondere
in modo netto, la civiltà europea è in primo luogo una civiltà
pluralista. Voglio dire che essa è il luogo della diversità delle
opinioni, delle contrapposizioni, dei valori contrastanti e della
dialettica che non arriva a una sintesi. In Europa la dialettica vivente
è quella che non porta a una sorta di ideologia al contempo totalitaria
ed ortodossa. Il contributo più importante della nostra civiltà mi
sembra sia quel pluralismo che è sempre stato il fondamento della
nozione di libertà europea. Oggi per l’appunto è questo ad essere in
pericolo ed è ciò che bisogna cercare di preservare.
L’espressione
di Voltaire che credo dicesse: «Non la penso come voi, ma mi farò
ammazzare per lasciarvi il diritto di esprimere la vostra opinione», è
evidentemente un principio del pensiero europeo. Non c’è dubbio che oggi
sul piano della libertà intellettuale, ma anche sugli altri piani,
questo principio viene messo in discussione, viene attaccato e mi sembra
che vada difeso. Rispetto alla questione di sapere se alla fine si
salverà e se il futuro sarà nostro, come si dice, ebbene a questo tipo
di domande rispondo allo stesso modo in cui rispondo ad altre, che pongo
a me stesso in situazioni simili. In alcune circostanze, mi sembra che
un uomo possa rispondere: «Questa cosa è vera, secondo me, o
probabilmente vera. Questa cosa dunque deve vivere. Non è sicuro che io
possa farla vivere, non è sicuro che la morte non attenda ciò che mi
sembra essenziale. Comunque, l’unica cosa che posso fare, è lottare
perché viva».
Penso, che in questa fase l’Europa sia chiusa in un
quadro rigido all’interno del quale non riesce a respirare. Dal momento
che Atene dista sei ore da Parigi, che in tre ore da Roma si va a
Parigi, e che le frontiere esistono solo per i doganieri e i passeggeri
sottomessi alla loro giurisdizione, viviamo in uno stato feudale.
L’Europa, che ha concepito di sana pianta le ideologie che oggi dominano
il mondo, che oggi le vede voltarsi contro di essa, essendosi incarnate
in paesi più grandi e più potenti industrialmente, quest’Europa, che ha
avuto il potere e la forza di teorizzare tali ideologie, allo stesso
modo può trovare la forza di concepire i concetti che permetteranno di
controllare o equilibrare queste ideologie. Semplicemente ha bisogno di
respiro, di grazia, di modi di pensare che non siano provinciali, mentre
al momento tutti i nostri modi di pensare lo sono. Le idee parigine
sono provinciali; quelle ateniesi anche, nel senso che abbiamo estrema
difficoltà ad avere abbastanza contatti e conoscenze, a contaminare
quanto basta le nostre idee affinché si fecondino mutualmente i valori
erranti, che sono isolati nei nostri rispettivi paesi.
Ebbene,
credo che quest’ideale verso il quale noi tutti tendiamo, che dobbiamo
difendere e per il quale dobbiamo fare tutto ciò che è possibile, non si
realizzerà subito. La «sovranità» per molto tempo ha messo bastoni in
tutte le ruote della storia internazionale. Continuerà a farlo. Le
ferite della guerra così recente sono ancora troppo aperte, troppo
dolorose perché si possa sperare che le collettività nazionali facciano
quello sforzo di cui solo gli individui superiori sono capaci, che
consiste nel dominare i propri risentimenti. Ci troviamo dunque,
psicologicamente, davanti a ostacoli che rendono difficile la
realizzazione di questo ideale. Detto questo, (...) bisogna lottare per
riuscire a superare gli ostacoli e fare l’Europa, l’Europa finalmente,
dove Parigi, Atene, Roma, Berlino saranno i centri nevralgici di un
impero di mezzo, oserei dire, che in un certo qual modo potrà svolgere
il suo ruolo nella storia di domani.
La piccola riserva che
introdurrò è la seguente. Ha detto che non si può affrontare dal punto
di vista intellettuale il problema del futuro europeo, che non ci si può
riflettere finché non avremo quella struttura a cui potremo fare
riferimento. La mia riserva sta dunque nel dire: dobbiamo comunque
affrontare il problema, dare un contenuto ai valori europei, anche se
l’Europa non si farà domani. Mi ha colpito l’esempio che ha fatto poco
fa. Lei ha sostenuto: «La Germania quando non era unita, non era una
potenza». È verissimo. Nondimeno possiamo sostenere che la maggior parte
delle ideologie contemporanee si è formata sull’ideologia tedesca del
Diciannovesimo secolo, e che tutti i filosofi tedeschi che hanno fatto
nascere quella nuova forma di pensiero precedono l’unificazione tedesca,
naturalmente se consideriamo che l’unità tedesca si realizza nel 1871.
Perciò è possibile influire su una civiltà, anche dallo stato di
abbandono e povertà in cui siamo.
Il ruolo degli intellettuali e
degli scrittori è in un certo senso quello di continuare a lavorare nel
loro ambito, cercando di spingere la ruota della storia se possono farlo
e se ne hanno il tempo, affinché al momento dovuto i valori necessari,
non dico siano pronti, ma possano già servire come fermenti.
(...)
La libertà senza limiti è il contrario della libertà. Solo i tiranni
possono esercitare la libertà senza limiti; e, per esempio, Hitler era
relativamente un uomo libero, l’unico d’altronde di tutto il suo impero.
Ma se si vuole esercitare una vera libertà, non può essere esercitata
unicamente nell’interesse dell’individuo che la esercita. La libertà ha
sempre avuto come limite, è una vecchia storia, la libertà degli altri.
Aggiungerò a questo luogo comune che essa esiste e ha un senso e un
contenuto solo nella misura in cui viene limitata dalla libertà degli
altri. Una libertà che comportasse solo dei diritti non sarebbe una
libertà, ma una tirannia. Se invece comporta dei diritti e dei doveri, è
una libertà che ha un contenuto e che può essere vissuta. Il resto, la
libertà senza limiti, non viene vissuta e ha come prezzo la morte degli
altri. La libertà con dei limiti è l’unica cosa che faccia vivere allo
stesso tempo colui che la esercita e coloro a favore dei quali viene
esercitata.
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